sez. V. La festa barocca di corte
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All’epoca dell’assolutismo barocco la festa assunse sempre più i connotati di una arrogante e magnifica celebrazione del potere, assimilando e confondendo tra loro forme spettacolari un tempo autonome.Anche giostre e tornei vennero così assorbiti da una complessa macchina spettacolare che ne snaturò le originarie qualità agonistico-militariesaltandone unicamente la dimensione coreografica, attraverso i balletti a cavallo figurati, e quella ginnica con l’esibizione di elaboratimaneggi delle armi.
Lo scontro armato perse così la propria identità autonoma per confondersi con le innumerevoli e meravigliose invenzioni della festa barocca di corte.
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A differenza dal torneo, incline a perdere con facilità la propria natura di scontro armato fra gruppi contrapposti per le potenzialità coreografiche insite nell’elevato numero dei contendenti, la giostra continuò a mantenere una propria identità anche in epoca barocca. Pur venendo inclusa in compositi trattenimenti drammatici di corte, prevista in occasione delle celebrazioni ufficiali di palazzo e inserita tra i divertimenti delle feste di matrice popolare (la bolognese "Festa della porchetta", per esempio), la giostra, con una sensibile preferenza per quella all’incontro e al Saracino, conservò sempre una spiccata dimensione agonistica, in quanto costituiva comunque per i cavalieri coinvolti una lusinghiera dimostrazione di coraggio e di valore.
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L’evoluzione dal torneo al carosello si attua lentamente, e forse quasi insensibilmente, per presentarsi però al pubblico d’età barocca come qualcosa di già compiuto e maturo. In realtà, le “battaglie simulate” avevano forse da sempre mantenuto, nella loro struttura, elementi del tipo che consentirà questa evoluzione. Moresche e balletti a cavallo sottintendevano un’abilità equestre e una capacità di compiere virtuosismi ed evoluzioni a cavallo (e col cavallo) che, del resto, erano antropologicamente parlando un’applicazione dei giochi di destrezza parte di qualunque addestramento al combattere issati su una cavalcatura. Il leggendario ludus troianus di cui sovente parlano gli storici del torneo pare essere stata una danza a cavallo caratterizzata da complesse evoluzioni coordinate di grossi gruppi di guerrieri; riti e spettacoli di questo genere sono conosciuti in tutte le civiltà che hanno sviluppato l’equitazione, e ricordati per esempio dagli storici del V-VI secolo a proposito dei guerrieri germani come dai viaggiatori del XIX-XX che hanno ad esempio visitato l’Afghanistan. Giochi come il polo, il buskashi afghano e - appunto - il palio risentono di questo complesso culturale.
Tuttavia, il carosello prende anche l’avvio da un deciso mutarsi della sensibilità del pubblico, anche in relazione al cambiamento funzionale dell’uso della cavalleria sui campi di battaglia. Dopo la prima metà del Cinquecento la cavalleria pesante è scomparsa, sostituita da lancieri, corazzieri, pistolieri, dragoni, insomma da una cavalleria leggera con funzioni d’urto o di ricognizione o addirittura - il caso dei dragoni - da una fanteria montata. Per festa di corte che sia, il torneo non oblia la propria origine di battaglia. In esso, inoltre, l’agonismo si riduce ulteriormente a gara di abilità.
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Le componenti spettacolari del Castello di Gorgoferusa, giocato a Ferrara nel 1561, costituirono il fondamento sul quale si venne elaborando la festa cavalleresca barocca. La dimensione conflittuale che aveva continuato a qualificare lo scontro armato per tutto il Cinquecento fu eliminata, così il torneo non venne più “combattuto”, ma “rappresentato”, diventando parte integrante della finzione teatrale. Soppresso lo scontro vero e proprio il torneo tese quindi a trasformarsi in balletto a cavallo ispirato a un particolare soggetto allegorico o mitologico, nel quale venne a mancare l’abbattimento mentre il combattimento fu soltanto un’azione simulata.
Il tema di questo tipo di tornei, dissoltisi ormai nella festa cavalleresca barocca, era solitamente ispirato alla celebrazione encomiastica dell’assolutismo principesco, per la quale venivano risvegliati gli eroi della mitologia antica (Marte, Venere, Ercole) e riproposte le più conosciute personificazioni allegoriche (per esempio, le quattro parti del mondo radunate per ossequiare il monarca, come nel fiorentino Mondo festeggiante del 1661), oppure ripresi episodi dei poemi epici allora in voga (soprattutto la Gerusalemme liberata del Tasso). Il soggetto prescelto per lo spettacolo equestre ne determinava comunque tutte le coreografie, gli addobbi e i costumi, e imponeva la conformazione dei carri allegorici impiegati per introdurre in scena i combattenti e le comparse. A queste ultime era affidato il compito di introdurre l’argomento del torneo cantando delle composizioni in versi appositamente create, mentre i componenti di ciascun carro allegorico dovevano presentare se stessi nel medesimo modo.
Poesia, musica, coreografia e scenografia definirono così l’immagine di uno spettacolo composito, non più esaurito dalle categorie di giostra, torneo o armeggiamento, ma incluso nella multiforme complessità della festa barocca. Questo tipo di manifestazione spettacolare, caratteristica della sensibilità culturale dell’ancien régime, si diffuse in forme sostanzialmente analoghe in tutte le corti europee, favorita anche dal frequente spostarsi da un luogo all’altro degli artisti dediti al suo allestimento, e benché Firenze risulti essere stata la città forse più ricca di tali spettacoli equestri, come dimostra la copiosa documentazione iconografica, anche le altre corti italiane e straniere ne ospitarono con assidua frequenza.
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Il torneo barocco a soggetto conobbe la propria fioritura all’epoca della maggiore diffusione del melodramma: una forma rappresentativa connotata dalla presenza della musica, del canto e di sofisticate macchinerie per la realizzazione scenica. Fu dunque inevitabile la reciproca intersezione fra i due generi che snaturò definitivamente l’esibizione armata concretizzandosi nella forma dell’opera-torneo: uno spettacolo nel quale il combattimento precostituito si tramutava in balletto di cavalieri, e l’introduzione allegorica in rappresentazione cantata e musicata.
Questa definitiva trasformazione della festa cavalleresca determinò anche un importante mutamento nell’assetto del luogo destinato ad accoglierla, in quanto, per le esigenze spaziali del nuovo spettacolo, le piazze e gli ampi cortili non furono più circondati di semplici gradinate per il pubblico, dominate dal palco d’onore, ma vennero serrate da strutture sviluppate verticalmente in altezza, e modellate su una foggia molto simile a quella degli odierni teatri a palchetti (come risulta evidente dalla documentazione iconografica qui esposta), che influenzarono in maniera determinante la conformazione degli edifici teatrali stabili. La necessità di disporre di ampi spazi liberi per i balletti a cavallo, e di un palcoscenico attrezzato per le azioni rappresentative provocò così la creazione di una vasta platea contornata dalle file di palchi sovrapposti e di una scena vera e propria (o di più scene) sulla quale si potevano alternare le stupefacenti invenzioni della scenografia barocca, dai mutamenti prospettici a vista, alle meravigliose apparizioni e sparizioni di interi gruppi di figuranti.
L’esibizione cavalleresca, da manifestazione ginnico-militare di matrice medievale, era ormai diventata uno spettacolo “totale”, denso di future implicazioni per gli sviluppi dello spettacolo moderno.
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Il Cinque-Seicento è il periodo della normativa, della trattatistica, della casistica. Si elaborano e si stampano trattati di diritto, di medicina, d’ingegneria meccanica, di arte poetica, di teoria dell’amore, di etica religiosa, di linguistica, di fonetica, di politica. All’età aperta dal Machiavelli e dal Bembo, l’età dei grandi teorici e dei robusti o sottili codificatori, non possono sfuggire le giostre e i tornei. La “biblioteca di don Ferrante” sarà piena di scritti del genere: dal Sansovino al Modius, allo Iacobilli, al Massari, al Sereno, al Favyn, al Vulson de la Colombière, al Ménestrier, al Maffei. Non a caso, come osserva il conte Attilio nel grande libro di Alessandro Manzoni, il Tasso era un “uomo grande” anche perché conosceva “a menadito le regole della cavalleria”.
È proprio, d’altro canto, l’età rinascimentale, e più ancora quella barocca, che celebra e legittima il definitivo divorzio -avviato già dal medioevo feudale - tra la gara cavalleresca e il duello giudiziario congiunti, si può dire, in età medievale. Se giostre, tornei, caroselli si evolveranno sempre più nell’ambito esclusivo dello spettacolo di corte o di piazza, il duello diventerà materia di codificazione coinvolgente non tanto il diritto quanto il campo dell’onore, e si avvierà ad assumere caratteristiche specifiche.
Certo è comunque che amore per i giochi cavallereschi e culto del duello (quindi dell’onore e della pratica guerriera di mantenerlo o riscattarlo) non si leggono correttamente senza porli in relazione con un complesso di elementi “eroici” che investono il Cinque-Seicento - dando fra l’altro ragione della rinnovata fortuna della poesia epica, tra il Boiardo e il Byron (e il Marino)- e che trovano la loro spiegazione strutturale nel processo di rifeudalizzazione in atto nell’Europa occidentale.
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