sez. IV. Dall'armeggiamento cavalleresco alla spettacolarità cortigiana

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Secondo una visione d’impronta evo­luzionistica, ormai superata, il torneo avrebbe progressivamente perduto i suoi caratteri violenti e "barbarici" man mano che dal medioevo la società europea proce­deva verso l’età moderna e i costumi s’ingentilivano. I combattimenti “a oltranza” si sarebbero ridotti in quanto la cultura corte­se avrebbe introdotto un ingentilimento dei costumi e le prove più rischiose - come la “giostra all’incontro” - si sarebbero fatte più rare e si sarebbero svolte con maggior cautela.
Tale impostazione del problema risente evidentemente di un pregiudizio evoluzio­nistico-umanitario caratteristico della fine del secolo scorso anche se perdurato a lungo anche poi: il pregiudizio di un progresso “lineare” e “ascendente”. In realtà, è un fatto che tra XIV e XVII secolo giostre e tornei videro progressivamente attenuarsi gli elementi militari-agonistici nel loro tes­suto, ma ciò anzitutto inquanto l’evoluzio­ne dei sistemi bellici aveva tolto alla caval­leria il primato, mentre quella sociale ave­va finito col porre da canto la vecchia ari­stocrazia feudosignorile e magnatizia per sostituirla in parte almeno con nuovi ceti d’estrazione imprenditoriale, commerciale e artigiana, per loro natura poco propensi all’addestramento guerriero.
Questi furono i motivi non tanto del di­venire meno pericolosi e cruenti dei tornei, quanto del loro spostarsi da rito sociale, funzionale a un ceto di combattenti, a spettacolo teso a ribadire le gerarchie politiche attraverso le metafore guerriere e araldiche e a organizzare il consenso.

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Con il Rinascimento si ha una densa trattatistica relativa alla cavalleria e ai tor­nei; essa trae la sua origine dalla necessità di codificazione scritta di norme che, per tutto il medioevo, sono state piuttosto og­getto di un codice comportamentale d’ono­re definito non teoricamente, bensì attra­verso la narrazione-descrizione di eventi guerreschi o ludico-agonistici nelle chansons de geste e nei romans d’aventure.
Tra Quattro e Cinquecento giostre e tor­nei avranno, come del resto un po’ tutte le feste rinascimentali, una densa e articolata normativa espressa in “regolamenti” e “ca­pitoli”. Il ritterliches Tugendsystem (“siste­ma etico cavalleresco”), per tutto il medioevo­ rintracciabile nella letteratura cortese e al massimo, e rapsodicamente, in qualche trattato etico-allegorico, giunge a maturazione pian piano parallelamente con la ten­denza a rendere i tornei meno cruenti.

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Il concilio lateranense II, nel 1139, aveva condannato i tornei e negato a chi fosse caduto in torneo il diritto alla sepoltu­ra in terra consacrata; tali provvedimenti furono in seguito più volte confermati. Essi traevano la loro origine da un complesso di motivi. Anzitutto, la pax Dei fra cristiani, in un momento nel quale la Chiesa intendeva indirizzare gli sforzi della cavalleria euro­pea verso il movimento crociato e doveva quindi condannare con maggior rigore che mai ogni atto di guerra fratricida tra i fede­li.
Ma anche l’audacia sconsiderata, lo sperpero di ricchezze, la tensione erotica latente nelle gare guerriere e che la lettera­tura cortese esaltava: insomma, la vanitas del torneo.
Eppure, si ha la sensazione che la du­rezza di queste condanne ecclesiastiche non sortisse tutto sommato effetti efficaci. I tornei continuarono, e solo di quando in quando si ha notizia di una loro sospensio­ne o di un loro rinvio in seguito al fermo atteggiamento di ossequio alla normativa della Chiesa. La cavalleria cristiana continuò a onorare i grandi corridori professio­nisti di tornei, i campioni come quel Gu­glielmo il Maresciallo studiato da Georges Duby.
Non si può comunque negare che le condanne ecclesiastiche siano state una componente della tendenza a ridurre la pe­ricolosità e la crudeltà dei giochi guerrieri, quella tendenza cioè che condusse alla progressiva sparizione dei combattimenti “a oltranza”. D’altronde, nel XVI secolo tornei e giostre erano ormai largamente accettati, come gara di abilità e spettacolo, dalla stessa Chiesa: e si facevano tornei an­che entro il perimetro dei palazzi vaticani.

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Parallelamente all’attenuarsi della di­mensione agonistica e violenta, giostre e tornei tesero ad assumere un carattere me­ramente esibizionistico-spettacolare, venendo a configurarsi come uno dei numerosi trattenimenti ludici realizzati in occasione delle feste cortesi. Sotto l’impulso della diffusa letteratura cavalleresca, soggetta a una nuova fioritura a partire dal XV secolo, lo scontro armato in singolar tenzone o in gruppo si travestì spesso da azione dram­matica, determinata dall’invenzione di una storia che fornisse il movente per lo svolgimento di una esibizione militare. In altre occasioni, invece, giostre e tornei furono inseriti all’interno di trattenimenti o di spettacoli complessi quali i banchetti di corte, dove un breve combattimento o un assalto al castello potevano costituire un gradito diversivo, o quali le sacre rappre­sentazioni che accoglievano spesso scene mimate di battaglie o di veri e propri tornei e giostre.

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Alla metà del XVI secolo si verifica­rono due eventi che, pur distanti nello spa­zio, furono destinati a imprimere una nuo­va direzione a giostre e tornei nell’epoca successiva.
Già nei secoli precedenti il combattimen­to a oltranza, era stato ripetutamente con­dannato dalla Chiesa, senza che tale posi­zione negativa fosse riuscita a indebolirne la consuetudine; ma nel 1559, con la mor­te del re Enrico II, ucciso da Gabriel de Lorges duca di Montgommery durante una giostra all’incontro giocata a Parigi, si veri­ficò un immediato e definitivo cambiamen­to di tendenza nella qualità bellica di gio­stre e tornei. L’uccisore del monarca fu infatti energicamente perseguitato dalla regi­na Caterina de’Medici sua consorte, e infi­ne catturato e decapitato, mentre ogni pre­cedente decreto contro i combattimenti a oltranza fu reso esecutivo. La notizia del fatto, che pur essendo avvenuto in Francia non tardò a ripercuotersi in Italia anche per la nazionalità di Caterina, suscitò una vasta eco letteraria, come dimostrano le numerose testimonianze storiche sull’avvenimento, assumendo una dimensione rap­presentativa della pericolosità dei combatti­menti a oltranza, e sancendo, di conseguenza, il carattere “cortese” dello scontro armato destinato così a una repentina spettacolarizzazione.
Quasi contemporaneamente un secondo avvenimento che contribuì a imprimere una svolta nella storia della festa cavallere­sca fu il torneo a soggetto combattuto a Ferrara nel 1561 nell’ambito dei festeggia­menti indetti per l’elezione al cardinalato di Luigi d’Este. Il Castello di Gorgoferusa (questo è il titolo del torneo) riunì in sé tut­ti i caratteri di uno spettacolo completo, impreziosito da una abbagliante ricchezza di apparato: argomento letterario che determinava lo svolgimento dell’azione (di qui la definizione di torneo a soggetto), introdu­zione recitata, combattimento preordinato (il vincitore era predisposto fin dall’inizio dello scontro), comparse dei cavalieri su carri echeggianti i trionfi rinascimentali, teatro con assetto organico e palcoscenico sopraelevato con scena mutevole.
L’enorme successo incontrato da questo complesso spettacolo, del quale il combatti­mento armato non era più che una delle numerose componenti, determinò un susseguirsi di avvenimenti analoghi e sempre più perfezionati nelle invenzioni sceniche, sia a Ferrara (ricordiamo solo il Monte di Feronia, tenuto sempre nel 1561 come proseguimento del Castello di Gorgoferusa, e l’Isola beata, combattuto nel 1569 in onore del granduca Carlo d’Austria, con un’ardita soluzione scenica spartita tra ter­ra e acqua), sia nelle altre corti italiane, come si vedrà.
Con questo evento i caratteri della festa cavalleresca di corte erano ormai impostati mentre cominciava l’epoca della spettacola­rizzazione della guerra e della teatralizzazione del potere.