sez. II. La giostra: struttura e tipologie

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“Giostra è quando l’uno cavaliere vie­ne contra l’altro, o ver corre, con l’asti broccate coi ferro di tre punti, ove non si cerca vittoria se non dello scavallare l’uno l’altro; ed in questo è differente dal tornia­mento, ove si combatte a fine di morte”:
così Francesco di Bartolo da Buti, nel suo Commento sopra la Divina Commedia della seconda metà del X1V secolo, distingueva con precisione i due generi di armeggia­mento. Per giostra va infatti intesa, nono­stante la confusione talvolta operata dalla trattatistica e dalle stesse fonti documenta­rie, l’esibizione singolare contro un bersa­glio inanimato o un avversario, avente per intento principale quello di dimostrare l’a­bilità e la precisione nel maneggio delle armi e del cavallo. In caso di combattimen­to gli avversari giostranti erano soltanto due, in “singolar tenzone” o “battaglia sin­gulare”: lo scopo dell’esercizio, che talvolta poteva consistere in una serie di scontri ar­mati, anche a piedi, corpo a corpo, si risol­veva in genere col disarcionamento dell’av­versario, vale a dire con una conclusione che escludeva — salvo per accidentale fata­lità — la sopraffazione cruenta dell’avversario.
Quattro appaiono, in definitiva, gli ele­menti caratterizzanti la giostra: il cavallo, l’arma, il bersaglio e la corsa.

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Il giostrante, sia contro un avversario sia contro un bersaglio, può esibirsi a piedi oppure — e contro un bersaglio tale tende a essere la regola — a cavallo. Le insegne, di tipo araldico o di tipo emblematico (figu­re, colori ecc.) debbono essere portate bene in vista, in modo che gli araldi-specialisti sia nell’identificazione delle insegne e del loro valore simbolico, sia nella cono­scenza delle regole del gioco e quindi della valutazione dei comportamenti — possano riconoscerle immediatamente e comunicar­le al pubblico.
I “luoghi deputati” per le insegne sono, fino al Quattrocento, gli scudi (o quegli speciali scudi quadrangolari da giostra e da torneo detti “targhe”) e le gualdrappe dei cavalli; a partire dal XIII secolo, accanto ad essi cresce tuttavia d’importanza il cimiero, che in genere compendia nei colori o nelle figure l’insegna araldica del gio­strante o la sua “impresa”, la figura emble­matica che egli ha scelto per indicare il suo impegno cavalleresco in genere o nel caso di quella specifica giostra.
I1 giostrante è sempre accompagnato da una “scorta”, la funzione della quale rinvia alla composizione dell’unità di combatti­mento detta, fra XIV e XV secolo, “lancia” (il combattente vero e proprio, e un nume­ro vario dai due ai cinque o più assistenti con funzioni sussidiarie ben specificate), ma che rappresenta anche il team dei “pa­drini” tenuti a garantire della lealtà dello scontro da parte del giostrante che rappre­sentano e a sorvegliare sulla lealtà del comportamento dell’avversario.

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Armi e armature da giostra subiscono una loro evoluzione tra XII e XVII secolo: da un’identità praticamente totale tra quel­le da guerra (e anche da caccia) e quelle “ludico-rituali”, si passa a una diversifica­zione che sottolinea il carattere almeno in­tenzionalmente non-cruento della “battaglia simulata” e che ne esalta infine (a partire dal XVI secolo) i contenuti spettacolari.
Già dal XII secolo si adottano armi “cor­tesi”: lance spuntate o dalla punta fasciata o coperta da appositi supporti, spade spun­tate e prive di filo. Per le giostre, si usava­no tuttavia armi particolari, la diversifica­zione delle quali raggiungeva livelli di alta specializzazione nelle cosiddette “giostre al­l’incontro” (quelle fra due avversari che si lanciano l’uno contro l’altro per cercare di disarcionarsi): ad esempio la “groppella” (lancia con un puntale a cinque punte), il “demenino” (lancia molto pesante), l’”asta” o la “zagaglia” (lance più leggere). A parti­re dal Trecento, i mercenari catalani o quelli ungari, i servigi dei quali erano mol­to richiesti in Occidente, introdussero nuo­vi modi di giostrare e nuovi tipi di armi.
Quanto alle armature, cioè al complesso delle armi da difesa, si nota tra XII e XVII secolo lo stesso processo teso a divaricare la distanza tra quelle da guerra e quelle da battaglia simulata. A partire dal Cinque­cento, con l’ormai completa armatura “da piastra”, l’uso dello scudo diventa pleona­stico e tende a scomparire dallo scontro quando non viene comunque mantenuto —in dimensioni molto ridotte — come sup­porto dell’insegna araldica, a sua volta però molto più perentoriamente presente nel cimiero. Tendono anche a scomparire le difese da gamba, anche perché con tale accorgimento si vuol sottolineare che l’area da colpire, nella figura del giostrante, è esclusivamente quella toracica. Infine, un indirizzo tecnico-stilistico inaugurato nel Trecento ma che giunge al suo acme nel Cinquecento introduce nell’armamento di­fensivo (specie nella “corazza”, cioè nel si­stema di difesa toracico-dorsale, e nel cimiero, che tende a trasformarsi in cresta) una serie di elementi archeologico-antichiz­zanti, di citazioni desunte dall’armamento greco-romano. Ne risulta uno stile sincreti­stico nuovo, detto “all’antica” o “all’eroi­ca”, che comporta soluzioni funzionali ed estetiche talora bizzarre, talora di alto effet­to spettacolare.

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L’identità della giostra, come sottin­tende l’etimologia stessa del termine, è co­stituita dalla corsa del cavaliere contro il bersaglio: esso viene quindi a definire an­che nominalmente il tipo di giostra.
Quando lo scontro avviene tra due cava­lieri prende il nome di giostra all’incontro: questa può essere sostenuta alla barriera, qualora nel campo che ospita la dimostrazione sia stata issata una lizza (o barriera, o sbarra), fatta di legname e di tela, per se­parare i contendenti e impedire loro di colpire le rispettive cavalcature; se, invece, gli avversari si affrontano vis a vis, senza alcu­no sbarramento, la giostra è giocata in campo aperto. In entrambi i casi l’incontro a singolar tenzone, cioè tra due soli antago­nisti, iniziava tendenzialmente ad armi lun­ghe (lancia, asta, zagara), per continuare, una volte rotte le prime, ad armi bianche (spada, ascia, scure) più adatte al corpo a corpo, fino all’abbattimento di uno dei ca­valieri.

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Si ha invece la giostra all’anello, come dimostrano le testimonianze iconografiche qui esposte, quando il cavaliere deve esibire la propria abilità nel colpire di gran carriera con la lancia una specie di disco appeso a un supporto, oppure nell’infilzare la propria arma attraverso un anello sospeso a mezz’aria.

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Una giostra particolarmente spettacolare e molto diffusa fu quella corsa contro la quintana, un bersaglio mobile solitamente conformato sull’immagine di un essere mostruoso dotato di un braccio o di una sporgenza tesa e sorretta lateralmente da un perno: se il cavaliere non riusciva ad assestare il colpo in mezzo agli occhi del bersaglio, esso ruotava su se stesso colpendo il malcapitato avventore.
Sotto l’influenza delle numerose crociate bandite dalla cristianità contro il turco infedele, la quintana tese spesso ad assumere l’aspetto di un soldato musulmano abbigliato in fogge orientali, dal quale derivò il nome di giostra al Saracino o al Moro.

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Un elemento caratterizzante la gio­stra, sia nella variante all’incontro che in quella contro un bersaglio, è anche la cor­sa: la velocità progressiva verso “quel se­gno o bersaglio, nel quale il cavaliere, ve­nendo con impeto, nel correre con l’armi, s’aggiusta” (dal Compendio dell’heroica arte di Cavalleria di A. Massari, 1600). Molta dell’iconografia che illustra questo esercizio sembra evidenziare la tensione di­namica che vibra nel cavaliere in un tutt’uno variegatissimo di colori e nell’impeto agonistico, con il suo cavallo, l’arma, il co­stume e il paramento. Lo stesso Dante (Inferno, 22, 6) distingue l’agonismo della giostra dalla cruenza del torneo per l’ele­mento della corsa: “Corridor vidi per la ter­ra vostra,/ o Aretini, e vidi gir gualdane,/ fedir torneamenti e correr giostra,/ quando con trombe e quando con campane”.
Qui sono raccolti solo due dei molti esempi che si possono individuare e scopri­re nel corso dell’esposizione.

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La giostra assunse nel tempo e nella scala sociale una varietà di forme che, se conservarono il carattere di esercizio con­tro un bersaglio, videro invece diversificare quest’ultimo in maniera talvolta assai fanta­siosa. Abbiamo osservato come la stessa giostra riservata all’aristocrazia e alla nobil­tà delle società d’antico regime proponesse al cavaliere una pluralità di bersagli; ma fu tra i ceti intermedi e popolari che si diffu­sero, assumendo talora i toni della parodia delle giostre cortesi e cavalleresche, prati­che tra le più diverse, e cruente, contro og­getti e animali.
Con aste, bastoni, sassi e armi di vario genere, i partecipanti a queste forme deri­vate della giostra si scagliavano, per esem­pio, a piedi (e più raramente a cavallo o su carri) contro secchi, pignatte e altri reci­pienti di varia foggia e materiale, che, ap­pesi a una certa altezza dal terreno, river­savano l’acqua o gli altri liquidi di cui era­no pieni su coloro che riuscivano a romper­li.
Più testimoniata dall’iconografia, forse perché organizzata e regolamentata duran­te le feste e le occasioni civiche, appare in­vece l’usanza di giostrare contro gli anima­li. Bersaglio del cimento popolare diventa­vano così galli, anatre, gatti, vitelli e bestie di ogni specie. L’esercizio, che si protraeva fino all’uccisione, se non alla mattanza, dell’animale, assunse anche l’aspetto di una vera e propria caccia organizzata contro orsi, tori o altri esemplari, diretta emanatrice in ciò dell’odierna corrida.