sez. I. Guerra e duello come gioco e rituale

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Tanto in greco come in latino, il termine indicante la guerra (polemos, bellum), conserva nella sua origine il concetto di dualità: si riferisce cioè a una divisione e a uno scontro fra due parti. Nessun trattatista antico o medievale che abbia esaminato il "fenomeno-guerra" ha dimenticato, nella pratica, che essa nasce da una divisione, quindi da uno squilibrio, e che suo fine precipuo è di ricomporre un’unità originaria. Per quanto paradossale ciò possa sembrare agli occidentali moderni, scopo ultimo della guerra è la pace. Per questo la guerra ha potuto essere interpretata come una sorte di grande sacrificio di espiazione teso a riparare una lacerazione prodottasi nel tessuto dello ius. Lo stesso concetto cristiano tradizionale di bellum iustum si fonda sulla legittimità della riparazione di un‘ingiustizia.
La parola italiana «duello" è strettamente collegata a quella latina bellum, e al pari di essa presuppone due cose: una motivazione consistente in un torto da riparare e in un’ingiustizia da cancellare (motivazione che riposa poi sul principio antropologicamente diffuso, e che molte civiltà razionalizzano, della effusione del sangue come prezzo da pagare affinché la giustizia sia ristabilita); e una serie di norme formali che consentano allo scontro di contenere e ritualizzare le forze distruttive che esso stesso libera nel suo svolgersi. Ciò consente al duello di presentarsi non già come prova di forza, bensì come momento rituale attra­verso il quale la giustizia possa riaffermarsi ("ordalia", iudicium Dei).
La costante tensione tra guerra (intesa come "duello tra popoli") e diritto induce pertanto alla ritualizzazione dei conflitti, che si può proporre come loro “ludificazione” (riduzione a gioco). La guerra riduce al minimo il suo carattere distruttivo e teatralizza se stessa; l’ostensione della forza, del coraggio, dell’abilità dei guerrieri (danze di guerra, apparati ecc.) ha lo scopo d’intimorire il nemico e indurlo a recedere dallo scontro; la disfida tra "campioni" delle due parti compendia simbolicamente la guerra e ne elimina gli effetti distruttivi. Secondo gli etologi, anche molte specie animali traducono la loro aggressività intraspecifica in battaglie simulate, che Ireneus Eibl-Eibesfeldt definisce esplicitamente "tornei".

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La ricognizione etimologica dei vari termini con i quali venne indicato, dalle origini latino-provenzali alla documentazione basso-medievale e rinascimentale, l’insieme degli esercizi riconducibili al torneo e alla giostra consente di ripercorrere il definirsi delle diverse tipologie. L’origine etimologica risale probabilmente all’area linguistica basso-latina e proto-volgare. Nell‘avverbio juxta (vicino, da presso) e poi nel supposto verbo derivato juxtare (accostarsi, avvicinare), da un lato, e nel verbo tornare (girare intorno) e poi nei barbarici turniamentum e torneamentum, dall’altro, vanno individuate le radici primarie, e le differenze di significato, tra i termini giostra e torneo. Le due dizioni si affinarono nel corso del Medioevo in area franco-provenzale, dove gli armeggiamenti guerreschi e ludici si svilupparono e precisarono, secondo queste direttrici: juxtare evolvette in joustare, jouter, e juxta in jouxte, jouste, jousta, justa (e nel francese moderno joute); tornare in torneiar, torneir, tourner, e poi tournoyer (e nei moderni francesi tournoyement e tournois). Con il XIII secolo si hanno le prime attestazioni nel nostro volgare derivate dalla nomenclatura provenzale e basso latina: justa e joustare si ritrovano come josta, jostra, giosta, giottra, e giostrare, da cui poi, finalmente, giostra e giostrare; tournoyer e tournoi come torneare e torneo, mentre torneamento volgarizzò il barbarico torneamentum.
Cronache coeve indicano anche come sinonimo o equivalente di josta, hastiludium, alla lettera “gioco delle aste”, un armeggiamento esibizionistico che conservava ancora alcuni aspetti dall’armilustrium, una cerimonia romana di purificazione delle armi e degli atti di guerra con esse commessi, che si celebrava attraverso il sacrificio di uomini armati; il vocabolo latino venne poi in disuso e fu rimpiazzato da quello di giostra. Va sottolineato come una differenza di matrice etimologica distinguesse fin dall’origine i termini giostra e torneo, indicando con il primo il combattimento individuale stretto nel corpo a corpo (juxtare, jouter, vennero a significare “combattere da vicino”), e con il secondo il combattimento collettivo a gruppi o a squadre (da torneamentum e torneare, “muoversi in giro”, “circondare”, “far torneo”). Nonostante questa netta separazione originaria, con il passar del tempo, e soprattutto nei secoli più recenti, la documentazione stessa e gli eruditi e i curiosi di antiquaria che si occuparono di questi fenomeni tesero a confondere, nella pluralità delle nomenclature, la giostra con il torneo, e viceversa.

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Il confronto fra trattatistica e consuetudine può condurre ad alcune conclusioni generali di fondo sulla struttura permanente delle “battaglie simulate” a scopo di gioco, spettacolo, addestramento e ordalia (quattro differenti fini, questi, che si presentano sempre contestualmente nelle “battaglie simulate”, ma il peso di ciascuno dei quali è di volta in volta diverso e alcuni dei quali possono restare impliciti mentre altri venire sottolineati e addirittura esaltati).
Sul piano fenomenologico lo scontro può avvenire tra coppie di duellanti o fra due gruppi contrapposti; può prevedere l’uso di un solo tipo di arma (lancia o spada) o di più tipi insieme o in momenti diversi; può esser condotto da cavalieri, o da gente a piedi, o da entrambi. Anche il livello di pe­ricolosità degli scontri è programmato: in quelli nei quali il contenuto giudiziario pre­vale, accostandoli alle "ordalie", è previsto il combattimento a oltranza (cioè fino all’esaurimento delle forze di uno dei due contendenti, o anche al decesso); è comunque solitamente documentato, dal XII secolo in poi, il crescere dell’uso del combattimento ad armi “cortesi”, cioè spuntate o non affilate. Elementi irrinunziabili di qualunque battaglia simulata (o, come forse sarebbe preferibile definirla, "rituale") sono: la scelta e la eventuale delimitazione tramite steccato di un campo, che è un vero e proprio témenos nel quale valgono regole specifiche; la fissazione della normativa e la scelta di un “maestro di campo” che la faccia rispettare; la distinzione tra sfidanti (mantenitori) e accettanti la sfida (venturieri); la codificazione di una serie di elementi spettacolari nell’abbigliamento dei partecipanti e nella cornice del gioco (mostre, pompe, apparati).
In questo contesto una funzione sempre più importante, dal Duecento in poi, è riservata all’araldica e all’emblematica: in origine forse tecniche atte a riconoscere il combattente, poi sempre più elaborati sistemi di segni volti a distinguerne i programmi, le identità etico-culturali, i messaggi allegorico-politici.

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Il carattere agonistico-spettacolare di giostre e tornei ne favorì l’inserimento nei trattenimenti indetti sia in occasione di avvenimenti connessi con la loro identità guerresca, quali celebrazioni di vittorie o investiture di cavalieri, sia in concomitanza con ricorrenze gioiose concernenti la famiglia del Principe (nozze e battesimi) o la visita nella città di personaggi illustri. In entrambi i casi l’omaggio, vuoi ai vincitori, vuoi alla casa regnante o al visitatore di riguardo, era evidenziato dalla posizione preminente che questi personaggi, raccolti in un palco d’onore appositamente predisposto e addobbato, occupavano tra il pubblico.